14.03.2024

Cosa sapere sull’accanimento terapeutico e l’interruzione delle cure 

Cosa sapere sull’accanimento terapeutico e l’interruzione delle cure 

Che cosa si intende per accanimento terapeutico: definizione e significato 

In italiano, il termine “accanimento” indica la persistenza ostinata di un comportamento; in ambito medico ed etico si parla di “accanimento terapeutico” per indicare una situazione in cui vengono somministrate o eseguite terapie mediche o procedure diagnostiche invasive a un paziente gravemente malato o terminale, anche quando queste misure non offrono alcun beneficio significativo oppure quando il paziente ha chiaramente espresso il desiderio di non essere sottoposto a tali trattamenti. L’art. 2 della legge 219/2017 prevede infatti: “nei casi di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati (…)”.

Conseguenze dell’accanimento terapeutico e implicazioni etiche  

L’accanimento terapeutico (definito dal Comitato Nazionale per la Bioetica anche come “accanimento clinico” o “ostinazione clinica”) ha sempre conseguenze negative sia per il paziente che per la sua famiglia. Infatti, prolungare inutilmente la sofferenza del paziente, può, non solo mettere a rischio la dignità della persona malata, ma comportare anche un dispendio inutile di denaro e di energie, coinvolgendo la sfera emotiva, psicologica e sociale di tutte le persone coinvolte.

Le conseguenze economiche non sono trascurabili nemmeno dal punto di vista della spesa pubblica, infatti, talvolta, il medico si ostina nel percorso diagnostico e terapeutico in ragione della cosiddetta “medicina difensiva” cioè agisce nella speranza di mettersi al sicuro da eventuali problematiche giuridico risarcitorie, ma la medicina difensiva ha costi enormi nel nostro paese, stimata in diversi miliardi di euro l’anno.

L’accanimento terapeutico solleva numerose questioni etiche, le quali vanno ad interconnettersi con i principi fondamentali dell’etica medica, infatti, questo tipo di procedura non è coerente con tre dei 4 principi dell’etica medica:

  • principio di beneficenza, ovvero, agire nell’ottica di fare del bene al paziente nel rispetto delle sue volontà;
  • principio di non maleficenza, cioè intervenire con delle cure evitando di causare danni non necessari;
  • giusta allocazione delle risorse sanitarie, che dipende dai dati empirici diagnostici e terapeutici di ogni caso.

Viste queste premesse, secondo l’articolo 1, comma 6 della legge n. 219/17, il medico curante deve rispettare le volontà del paziente che rifiuta o rinuncia a un determinato trattamento sanitario, e conseguentemente è esonerato da eventuali responsabilità civili o penali. 

Inoltre, la stessa legge, sottolinea che operatori sanitari ed equipe medica sono tenuti a fornire al paziente informazioni accurate e complete sui trattamenti proposti (cure palliative, terapia del dolore, ecc…), nonché a ottenere un suo consenso informato documentato in forma scritta oppure tramite videoregistrazione o eventuali altri mezzi di comunicazione compatibili con le condizioni di salute del soggetto. 

Che cosa prevede la legge sull’accanimento terapeutico 

La questione dellaccanimento terapeutico in Italia è direttamente o indirettamente oggetto di diverse disposizioni normative relative alla pianificazione delle cure alla fine della vita e al rispetto della volontà del paziente:

  1. Art. 3 Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea;
  2. Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997;
  3. Legge 22 dicembre 2017, n. 219  “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”.

In generale, tramite queste disposizioni si impone il rispetto della volontà del paziente e viene riconosciuto il suo diritto assoluto di rifiutare trattamenti medici sia in situazioni in cui tali trattamenti non offrono benefici significativi o causino inutilmente la sofferenza del paziente, sia quando sono utili e salvavita.

Il rifiuto e la sospensione di trattamenti sanitari può determinare la morte del paziente, ma attiene alla questione del rifiuto delle cure e non a quella della morte medicalmente assistita che contempla solamente due scenari: l’aiuto al suicidio e l’eutanasia.

Ogni persona, inoltre, ha la possibilità di esprimere le proprie volontà  in materia di trattamenti terapeutici che intende rifiutare oggi per allora e cioè nel caso in cui, in futuro, dovesse eventualmente trovarsi in una situazione di incapacità irreversibile.

Lo strumento che consente l’indicazione delle proprie volontà ora per allora è il testamento biologico, che può essere scaricato online a questo link. Una volta compilato e sottoscritto, per avere validità legale deve essere depositato presso l’Ufficio di stato civile del proprio Comune di residenza, oppure presso un notaio. La prima opzione, rispetto alla seconda è gratuita. 

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