23.11.2019
Matteo Mainardi – L’iter della legge sull’eutanasia, iniziato solamente il 30 gennaio 2019, tre mesi dopo la prima l’ordinanza della Consulta sul caso Cappato/Dj Fabo, si è arenata nelle Commissioni Giustizia e Affari sociali il 31 luglio 2019. Sono 5 le proposte attualmente depositate alla Camera, mentre manca ancora un testo base. Vediamole nel dettaglio.
La proposta di legge di iniziativa popolare
La proposta popolare, è stata depositata alla Camera il 13 settembre 2013 ed essendo di iniziativa popolare sopravvive per due legislature. E’ dunque segnata come secondo atto depositato alla Camera nella XVIII legislatura.
E’ formata da 4 articoli di cui i primi 2 superati dalla legge 219/2017 sul consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento. I secondi 2 articoli riguardano invece l’eutanasia. Non mi soffermo sull’articolato perché, da subito, i promotori hanno dichiarato che il testo serviva solamente ad aprire il dibattito e che la normativa di dettaglio doveva essere composta all’interno delle aule parlamentari. Se dovessimo leggerlo per quello che è, sicuramente sarebbe insufficiente a regolamentare una questione come quella del fine vita.
La proposta Cecconi (deputato del gruppo Misto aderente all’intergruppo per le scelte di fine vita), è la prima proposta di iniziativa parlamentare depositata alla Camera in questa legislatura. E’ stata presentata l’11 febbraio 2019 e figura al numero 1586. L’articolato va a modificare la legge 219/2017 sul cosiddetto testamento biologico, senza creare una nuova normativa, prevede 5 requisiti per il richiedente il trattamento eutanasico: a) patologia irreversibile, b) insopportabili sofferenze fisiche o psichiche, c) prognosi infausta inferiore ai 18 mesi e richiesta manifestata da d) un soggetto maggiorenne e) adeguatamente informato sulle sue prospettive di vita, sulle possibilità terapeutiche, sui trattamenti palliativi e le loro conseguenze.
Troviamo qui due allargamenti e una chiusura confronto a ciò che ci ha detto la Corte: a) tra i requisiti non sono infatti previsti i trattamenti di sostegno vitale (apertura), ma b) sono previsti i 18 mesi di prognosi infausta (chiusura); c) (apertura) permette il ricorso all’eutanasia anche alla persona ormai incapace di intendere e volere, questione che aprirebbe quindi anche a demenze degenerative come l’Alzheimer.
Per questi casi Cecconi propone un atto scritto da depositare all’ufficiale di anagrafe del Comune di residenza o domicilio in cui si richiede l’eutanasia per un futuro di incapacità o di impossibilità di manifestare la propria volontà, nominando contemporaneamente un fiduciario perché confermi per iscritto la richiesta quando ne ricorrano le condizioni. A pena di inammissibilità, la richiesta deve inoltre essere accompagnata da un’autodichiarazione in cui il richiedente attesta di essersi adeguatamente documentato in ordine ai profili sanitari, etici e umana ad essa relativi.
In qualsiasi caso, il rispetto delle condizioni per accedere all’eutanasia deve essere attestato dal medico in forma scritta e confermato dal responsabile della struttura sanitaria.
In chiusura Cecconi propone che sia il Ministero della Salute a regolamentare a) tempi e modi del sostegno psicologico e sociale da prestare al paziente e ai familiari; b) procedure di attuazione dell’eutanasia e farmaci; c) requisiti strutturali minimi delle strutture sanitarie pubbliche idonee; d) modalità di accertamento delle condizioni.
Un buon testo dunque che ha due limiti: la prognosi infausta inferiore ai 18 mesi e la delega pressoché completa delle procedure al Ministero della Salute.
La proposta Rostan (deputata di Liberi e Uguali non aderente all’intergruppo per le scelte di fine vita), è stata presentata qualche settimana dopo la precedente: il 7 marzo 2019 e figura al numero 1635. Anche qui l’articolato va a modificare la legge 219/2017 sul cosiddetto testamento biologico.
La proposta è molto asciutta, consistendo in un solo articolo, e prevede 3 requisiti di accesso: a) soggetto maggiorenne b) adeguatamente informato sulle sue prospettive di vita, sulle possibilità terapeutiche, sui trattamenti palliativi e le loro conseguenze, c) gravi sofferenze, patologia irreversibile o prognosi infausta inferiore ai 18 mesi. Anche in questa proposta il rispetto delle condizioni per accedere all’eutanasia deve essere attestato dal medico in forma scritta e confermato dal responsabile della struttura sanitaria. Si aggiunge inoltre che per le strutture accreditate è necessario anche il parere della direzione sanitaria dell’ASL.
Rispetto alla precedente proposta Cecconi non è dunque previsto il limite della prognosi infausta inferiore ai 18 mesi, requisito superabile con le gravi sofferenze o la patologia irreversibile.
Troviamo quindi due allargamenti confronto alla sentenza della Corte: a) tra i requisiti non sono previsti i trattamenti di sostegno vitale e b) anche questa proposta apre alla persona ormai incapace di intendere e volere, con le stesse identiche modalità previste dalla proposta Cecconi, quindi deposito dell’atto in Comune, fiduciario e autodichiarazione.
In conclusione possiamo dire che è un testo che, seppur superi i limiti dei 18 mesi di terminalità previsti dalla precedente, non è completo. Non ci dice infatti nulla circa il sostegno al paziente, le procedure di attuazione e le procedure di verifica dei requisiti.
La proposta Sarli (deputata del Movimento 5 Stelle aderente all’intergruppo per le scelte di fine vita), è stata presentata il 30 maggio 2019 e figura al numero 1875. Come secondo firmatario troviamo Trizzino, relatore per la Commissione Affari sociali e chirurgo, anche lui aderente all’intergruppo.
La proposta crea una normativa completa e autonoma rispetto alla 219/2017 ed è intitolata “Disposizioni in materia di suicidio medicalmente assistito e di trattamento eutanasico”.
Innanzitutto i requisiti di accesso: a) soggetto maggiorenne b) capace di intendere e volere, c) con patologia irreversibile o con prognosi infausta non di natura psichiatrica o psicologica.
Si prevede che la richiesta sia manifestata nelle forme del testamento olografo alla presenza di due testimoni che devono datare e sottoscrivere il documento, oppure per atto pubblico o scrittura privata autenticata. Per chi si trova nelle condizioni di poter firmare, è sufficiente la videoregistrazione sempre alla presenza di due testimoni. Una volta compilato l’atto, la richiesta viene consegnata al medico che ha in cura il paziente, il medico di fiducia o il medico di medicina generale. Si prevedono inoltre due ovvietà non presenti però nelle altre proposte: a) la possibilità di ritirare in qualsiasi momento la propria richiesta, b) la possibilità per il paziente di indicare chi informare e chi far assistere al proprio suicidio assistito.
La garanzia dello svolgimento delle procedure è affidata a “strutture idonee” del SSN che, solo nel caso in cui le condizione del paziente non ne consentano il trasferimento, possono essere fatte a domicilio. Le procedure vengono inserite nei LEA e si prevede che siano erogate gratuitamente.
I doveri del medico sono quello di a) accertare le condizioni, b) che permanga nel paziente la volontà di procedere (annotando il tutto nel diario clinico), c) verificare che la persona sia consapevole e informata. Il medico è inoltre tenuto, all’atto della richiesta, a redigere un rapporto sulle condizioni cliniche.
Nella proposta Sarli si norma anche la documentazione da inserire in cartella clinica e la conservazione degli atti e si arriva anche a prevedere il decesso da equiparare al decesso per morte naturale. Si prevede l’obiezione di coscienza, con un apposito albo e modalità di registrazione.
Al Ministero della Salute si delega: a) l’individuazione delle strutture idonee, b) la definizione delle procedure, modalità e tempi per garantire sostegno psicologico e sociale al paziente e ai familiari, c) le modalità di custodia e archiviazione delle richieste, d) le linee guida per la corretta applicazione delle pratiche di suicidio assistito e trattamento eutanasico, e) la relazione annuale al Parlamento.
Quella illustrata è sicuramente la proposta migliore presente in Parlamento, sotto il profilo della completezza ed è quella che più aderisce a quanto indicato dalla Corte, ossia creare un percorso di sostegno e tutela dagli abusi. Se dobbiamo trovare due elementi negativi, questi sono: a) l’esclusione delle sofferenze psichiatriche o psicologiche (ricomprese dalla Corte) e b) le forme dell’obiezione di coscienza troppo rigide sia dal lato dei sanitari, sia dal lato di chi deve usufruire del loro aiuto.
La proposta Pagano (deputato della Lega non aderente all’intergruppo per le scelte di fine vita), è l’ultima in ordine cronologico ad essere stata presentata alla Camera, il 5 giugno 2019 e figura al numero 1888. Come secondo firmatario troviamo Turri, relatore per la Commissione Giustizia.
La proposta è volta a snaturare la 219/2017 e modifica le pene previste dall’articolo 580 del codice penale prevedendo una reclusione “da sei mesi a due anni quando l’autore convive stabilmente con il malato e agisce in stato di grave turbamento”. Non risponde e viene anzi superata dalla sentenza della Corte.
Sulla 219, introduce una burocrazia per la formalizzazione dell’obiezione di coscienza, elimina le strutture private tra quelle che devono garantire il rispetto della legge sulle DAT e prevede idratazione e nutrizione come trattamenti forzati, la cui interruzione è nella disponibilità del medico e non della persona.
Sono al momento assenti le proposte -e quindi le posizioni- di Forza Italia, Fratelli d’Italia e Partito Democratico.