“Gennaro Ametrano, nato a Napoli nel 1951 aveva sopportato nella sua vita già troppo. Tralasciando gli aspetti più intimi, il mio papà aveva già affrontato 3 infarti e un incidente quasi mortali. Lui era un guerriero e lo aveva già dimostrato”.
E’ settembre 2013 quando arriva la notizia: papà ha un cancro allo stomaco ed è già in stadio avanzato. Papà è forte, non mollerà, non lascerà me e mamma da sole. LUI AMAVA LA VITA. Trascorrono i chemiomesi, siamo ormai ad aprile e la malattia viene affrontata e sopportata, mai sconfitta. Io vivo a Roma ed i miei genitori vivevano a Viareggio. Mio papà mi continuava a proteggere e mi faceva tornare a casa al momento giusto, ossia quando gli effetti di quella “dannata” terapia era meno visibili. La guerra poteva essere vinta.
Qualcosa stava cambiando. All’inizio non era dimagrito, gli occhi erano sempre vigili e vivaci… eppure il suo volto stava cambiando… ecco la sua pelle stava cambiando. Era diventato delicato, accarezzandolo non sentivo le consuete sensazioni. Mi sembrava finto e lui lo sapeva. Era un edonista, niente gli poteva sfuggire. Allora si era tagliato i capelli corti corti, aveva tolto i baffi, si era comprato dei vestiti giovanili, della sua taglia soprattutto. Guardavamo il mare e parlavamo delle sue letture. Leggeva Freud, voleva capire la Vita. Mi voleva insegnare a vivere, mi spiegava che tramite l’arte tutto poteva continuare come prima. NON HA MAI PERSO LA LUCIDITA’, SAPEVA COSA STAVA SUCCEDENDO. Arriva aprile, il mio compleanno ma non possiamo andare a festeggiare a cena fuori. Più questa maledetta malattia gli mangiava lo stomaco, più lui non poteva mangiare cibo. Nonostante ciò ha sempre trovato il coraggio di sedersi a tavola con noi. Con la sua innata eleganza portava alla bocca un cucchiaino di qualcosa, prima piccoli pezzettini poi assurde pappine. Si percepiva la fatica fisica e mentale che provava e credo anche la rabbia per il costante insuccesso. Un uomo abituato a vincere si trova completamente impotente. Per ore, cucchiaino dopo cucchiaino. Lui non riusciva a mangiare ed io non potevo mangiare.
Era deciso per l’operazione che sarebbe stata fatta all’Ospedale X di Roma andava affrontata, costi quel che costi, anche a costo della vita. A Viareggio e a Pisa non lo volevano operare. Pordenone, troppo lontano, lontano anche dalla famiglia. Aveva iniziato a pianificare, così farà fino alla fine. L’operazione in questione prevedeva la resezione della parte alta dello stomaco e di una parte dell’esofago. Iniziamo una serie di esami propedeutici all’operazione. Vedo papà viverli come ostacoli che deve, che vuole, che può superare. L’ILLUSIONE E’ SPIETATA. Lo stress quotidiano è inspiegabile, inimmaginabile. Si trasferiscono a Roma, da zia Carmen, una delle sorelle di mia mamma. X ormai ci è familiare. Non è un ospedale per lui, è la salvezza. X non sarà il Paradiso ma l’Inferno.
Alla prima gastroscopia fu inserito un sondino che dalle narici arrivava fino alla stomaco di papà per consentirgli di nutrirsi tramite alimentazione enterale. Ingeriva un liquido che odora di vaniglia. Entravo in camera da letto e sentivo quell’odore. La pelle di mio papà aveva quell’odore e lui si lavava, si lavava. Non poteva sopportare quell’antiestetico tubicino che penzolava dal naso.
NON ERA ABBASTANZA. L’asl non ci consegna la pompa per pressurizzare l’iniezione del cibo ma papà da bravo ingegnere prende un "siringone", utilizza il celluare come cronometro e 20 h al giorno sta seduto sul divano bianco di pelle a iniettarsi il cibo manualmente. E’ un calvario, è una tortura. Papà mantiene la sua aplomb. PAPA’ AMA SUA FIGLIA, SUA MOGLIE, LA VITA.
NON ERA ABBASTANZA. Due giorni prima dell’operazione mi squilla il cellulare ad un orario improbabile. Papà ha avuto il primo collasso. Steso sul divano di zia, aveva un’espressione mite ma gli occhi aperti, a forza, cercavano di guardare tutto, cercava di assorbire quello che lo circondava. Il suo volto invecchia in un secondo di 20 anni e ecco il secondo collasso. Decide lo stesso di firmare il congedo dall’ambulanza, vuole andare all’Ospedale X. Vuole l’operazione.
Il destino ci beffa nuovamente e l’operazione viene rimandata a data da destinarsi. Ci prescrivono esercizi fisici giornalieri e lui, ligio al dovere, fa tutto quanto sia in suo potere. E’ stanco ma scende in giardino e fa lavorare i muscoli. Voleva dimostrare ai medici che era in forza abbastanza per l’operazione. L’attaccamento alla vita era davanti ai miei occhi. Vedo papà sempre più spesso assorto tra i suoi pensieri. Ha una determinazione non umana. Inizia a parlarmi della morte. Mi sta iniziando a preparare, alla sua mancanza, ALLA SUA DECISIONE. Mi spiega che rifiuta l’accanimento terapeutico, mi chiede di "stare dalla sua parte", dovessi andare contro il mondo intero. "Amore accetta la mia decisione di morire, devi avere coraggio".
Papà è ricoverato e domani ci sarà l’operazione. Poteva essere l’ultima notte. All’X non hanno abbastanza sangue per eventuali trasfusioni e l’operazione è rimandata, ANCORA. Dobbiamo trovare donatori di sangue ma questa è un’altra storia. In pochi giorni riempiamo l’Ospedale X di sangue, tranne il mio, dicono che sono troppo magra.
Papà diventa sempre più silenzioso, chiede solo di vedere gli occhi smeraldo di mia mamma e vedo oggettivarsi quella corrispondenza di amorosi sensi.
Giorno dell’operazione. Papà non era ovviamente morto sotto i ferri ma il cancro ormai aveva raggiunto il tripoide celiaco. Non ci vuole una laurea in medicina per capire che l’operazione non è andata a buon fine e ne rimane soltanto una cicatrice brutta bruttissima che rovina quel corpo già rovinato. Appena risvegliatosi dall’anestesia lui sapeva già, prima che chiunque lo avvertisse. Continuava ad essere il più calmo tra tutti noi. Sbalorditivo.
La ripresa fu lenta e dolorosa. Il suo corpo si faceva sempre più esile e fragile. Ci potevamo avvicinare a lui solo muovendoci con estrema delicatezza. Niente più abbracci. Non era ancora possibile riprendere la chemio. Papà era l’unico a vedere del positivo in questo. Odiava quella terapia che lo rendeva un alieno, che gli toglieva quella esigua possibilità di VITA DIGNITOSAMENTE VIVIBILE che gli rimaneva.
NON E’ ANCORA ABBASTANZA.
Prima di poter riprendere con i chemiomesi mio padre inizia a sputare sangue. Adesso non lo perde più dalle feci ma dalla bocca. Il risultato è lo stesso. Su una barella in un pronto soccorso sputa e urla dal dolore. Mio padre non ha mai urlato e tanto meno sputato di fronte a sconosciuti. So cosa stava pensando: QUESTA MALATTIA MI STA TOGLIENDO LA MIA DIGNITA’ DI UOMO. Infatti in un primo momento non vuole che io lo veda ma sa che io lo sento. Forse per la prima volta in vita mia si rimette al mio volere, mi lascia trasgredire quelle regole degli ospedali senza sgridarmi. Subisce un’altra operazione, la cauterizzazione dei capillari dell’esofago, con esito non determinabile apriori. Mio padre non poteva morire in quell’ospedale. Volevo farlo trasferire all’Ospedale X, magari lì avrebbero iniziato la chemio.
Il passaggio è veloce e inpercettibile… ha smesso di decidere, mi lascia decidere. PAPA’ HA DECISO DI MORIRE PERCHE’ AMA TROPPO LA VERA VITA. Quella in cui si può guardare il mare, in cui si può abbracciare e proteggere la propria figlia e fare l’amore con la propria moglie. QUELLA VITA IN CUI SEI DOTATO DEL LIBERO ARBITRIO.
Rifiuterà la chemio, inizierà a non alimentarsi più, a non bere più.
Gennaro Ametrano muore a Roma il 3 ottobre 2014.
A niente sono serviti i suoi tentativi di contatto con medici svizzeri pro Eutanasia. Una vera e propria trafila per un italiano decidere di morire. Documenti da compilare, un viaggio da affrontare, il senso di colpa di dover sottoporre la propria famiglia a tutto questo… come se non bastasse la paura di morire, la paura di decidere di morire prima che la vita ti sbeffeggi di nuovo.
La malattia lo ha ucciso. L’Italia ha contribuito alla sua morte. Parlo di morte dello Spirito, spossato, deluso. Parlo di un’intelligenza a cui non si dà la possibilità di decisione. In queste situazioni scegliere la Morte è la più grande dimostrazione di attaccamento alla Vita. L’eutanasia non è morte, è una libera legittima decisione.
Gessica Ametrano, figlia di Gennaro