05.10.2015
Il teologo svizzero Hans Kung, autore della raccolta ?Morire felici. Lasciare la vita senza paura?, non è più il solo esponente cattolico di spicco a sostenere la necessità sociale, politica ma anche morale della legalizzazione dell?eutanasia. Accanto a lui prende posizione anche Gabriel Ringlet, priore del Belgio e già prorettore dell?Università cattolica di Lovanio.
Per la “Domenica de Il sole 24 Ore”, Beda Romano ha intervistato il teologo che da qualche settimana compare in libreria con il suo libro “Stendetemi nudo sulla terra nuda. L’accompagnamento spirituale all’eutanasia”, ancora non tradotto in italiano.
Il settantunenne Ringlet prende le distanze dalla dottrina del Vaticano e arriva ad ammettere di accompagnare da anni alla morte i pazienti in fine di vita. Dopotutto la Chiesa accetta la sedazione e lui stesso constata che “sedare significa addormentare il paziente definitivamente, lasciando morire l’ammalato poco alla volta, mentre l’eutanasia comporta la sua morte immediata. Io credo che siano la stessa cosa”. Ed aggiunge: “Il mio coinvolgimento consente in fondo a tutti i partecipanti di riflettere profondamente sul passo che stanno per compiere. […] In un cattolicesimo chiuso come quello italiano, il rischio è di rafforzare le derive e di contribuire a scelte fatte in segreto e troppo rapide”.
Anche da un punto di vista laico hanno valore le parole di Ringlet: legalizzare l’eutanasia significa indurre le persone che ne vogliono usufruire a entrare in un percorso di medici, psicologi e accompagnatori che cercheranno fino all’ultimo momento di mostrargli le alternative possibili. Continuare a prevedere l’eutanasia come reato significa invece non entrare in contatto con queste persone, abbandonandole al suicidio privato anche quando delle alternative per loro sarebbero possibili. Non dimentichiamo che il 46% degli italiani si suicida per cause di malattia.