Pubblichiamo un estratto dell’articolo “Il medico olandese che pratica l’eutanasia sui bambini” scritto da Gabriele Cruciata per The Post Internazionale
[…] Nei Paesi Bassi a partire dal 2002 chiedere l’eutanasia è un diritto per ogni cittadino: staccare un respiratore non è considerata pratica straordinaria ma ordinaria, che ogni medico ha diritto ad effettuare.
Nel 2005 il professor Verhagen ha pubblicato un documento, noto con il nome di Protocollo di Groningen, nel quale vengono indicate le procedure da rispettare qualora si volesse praticare una eutanasia su un paziente bambino o neonato. Dopo anni di incertezza legislativa, nel 2007 il Governo olandese ha approvato un regolamento ispirato al Protocollo, che disciplina tale pratica definendo diritti e doveri del medico e liberandolo dal rischio di essere processato per omicidio.
Il Protocollo di Groningen non è dunque mai ufficialmente diventato legge. Si tratta solo di una serie di pratiche mediche approvate dall’associazione nazionale pediatrica e riconosciute dalla comunità medica.
Esso individua tre casi di pazienti per i quali i trattamenti possono essere applicati. Mentre i primi due fanno riferimento a bambini senza speranza di vita e dipendenti dalle cure intensive, nella descrizione del terzo gruppo viene introdotta la definizione di “sofferenze insopportabili”, con “pessima qualità della vita associata a continua sofferenza”, talvolta criticata dalla comunità scientifica perché considerata troppo vaga.
“Per noi è buona medicina”
“Erano i primi Anni 2000, e qui in ospedale c’era un paziente di 3 settimane gravemente malato” racconta il professore. “Sapevamo bene che non ce l’avrebbe fatta, e i suoi genitori vennero da noi chiedendoci di interrompere le sue sofferenze”. Ma il personale medico a quel tempo era impotente: “Dicemmo loro che non potevamo fare nulla perché la legge non ci autorizzava”. Il bambino morì poche settimane più tardi.
Quando il professore lo ricorda assume uno sguardo rassegnato. Intorno a sé ha un tavolo in legno e una stanza che assomiglia più a un salotto che non a un ufficio. “Abbiamo deciso di lavorare al Protocollo proprio per questo, perché pensavamo che lasciar soffrire un bambino così piccolo non fosse considerabile buona medicina”. […]
Una pratica diffusa da tempo
[…] Da quando è stato approvato, il Protocollo è stato applicato in 5 casi ufficiali. Si stima, però, che circa una decina di casi sfuggano ogni anno alle statistiche governative. “
L’eutanasia sui bambini era realtà anche prima del Protocollo”, spiega Verhagen, aggiungendo che proprio questo è stato uno dei motivi che lo ha portato a realizzare un “quadro di riferimento medico che fosse d’ispirazione anche per il legislatore”. Prima del Protocollo il riferimento normativo era costituito da due sentenze emanate negli anni Novanta in cui i pediatri che avevano praticato eutanasia erano stati assolti dall’accusa di omicidio. […]
Prima della morte
[…] Nell’ultimo decennio le cure somministrate ai pazienti sono molto migliorate. Più che di medicinali, si tratta di instaurare un rapporto di fiducia tra medico e paziente, creando delle buone condizioni di vita per il neonato.
“Ogni scelta viene presa in accordo con la famiglia, e spesso è la famiglia stessa a decidere dove, come e con chi far passare del tempo al proprio figlio”, spiega il professore. Inoltre , “esistono team che si occupano dell’aiuto psicologico da apportare alla famiglia”.
“L’attenzione che oggi diamo all’aspetto umano e palliativo è la cosa di cui sono più fiero”, dice Verhagen. “Credo che il momento della morte sia rappresentativo. Facciamo un’iniezione al bambino, e lo affidiamo alle braccia della madre, che lo stringe al petto. Ci assicuriamo che il bambino non provi dolore, che possa lasciare il mondo riscaldato dal petto della propria madre. Credo che questa sia buona medicina”.
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